Responsabilità dello Stato per fatto del giudice. Qualcosa finalmente si muove?

In sede di approvazione legge europea 2013 bis– avvenuta lo scorso 21 ottobre 2014 – il legislatore italiano ha (nuovamente) rinviato la modifica della legge 13 aprile 1988, n. 117 (c.d. Legge Vassalli), relativa alla responsabilità dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, omettendo, ancora una volta, di ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011 (causa C-379/10, Commissione europea c. Repubblica italiana), che ribadiva, esplicitandole, le affermazioni inerenti alla sostanziale incompatibilità della normativa in parola rispetto al principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione, contenute nella nota sentenza del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo (causa C-173/03).

Il rinvio è stato motivato dall’intenzione di riservare la discussione – da tempo molto accesa sul tema – alla più organica proposta di riforma contenuta nel disegno di legge n. 1626/2014, su cui in data 20 novembre è stata raggiunta l’approvazione in prima lettura al Senato.

Prima di soffermarsi sui contenuti del nuovo disegno di legge, occorre ricordare quale sia l’obbligo di adeguamento imposto all’Italia dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 2011.

Le premesse: il caso Traghetti del Mediterraneo e la procedura di infrazione C-379/2010.

Come anticipato, l’antecedente storico della pronuncia del novembre 2011 è costituito dalla sentenza Traghetti del Mediterraneo.

Nel 2003, la società Traghetti del Mediterraneo – dopo essere risultata soccombente nel giudizio intrapreso contro un’altra società di trasporti marittimi, la Tirrenia Navigazione – aveva convenuto in giudizio la Repubblica italiana, al fine di ottenere il risarcimento del danno che riteneva di aver subìto a causa dell’erronea interpretazione, da parte della Corte di Cassazione, delle norme comunitarie in materia di concorrenza ed aiuti di Stato e del rifiuto, opposto da quest’ultima, di operare un rinvio pregiudiziale.

La Repubblica italiana, costituitasi in giudizio, aveva respinto la richiesta di risarcimento del danno, invocando le disposizioni contenute proprio nella legge n. 117/1988, che: (a) all’art. 2, c. 1, subordina il diritto del singolo di agire contro lo Stato per il danno cagionato da un «comportamento, un atto od un provvedimento giudiziario del magistrato» alla condizione che sia stato posto in essere con ”dolo” o ”colpa grave”; e (b), all’art. 2, c. 2., esclude dall’area di responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove.

Investito della causa, il Tribunale di Genova aveva, quindi, operato un rinvio pregiudiziale, sottoponendo alla Corte di giustizia il quesito della sostanziale compatibilità della legislazione italiana con il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea.

Nella pronuncia del 13 giugno 2006, riaffermando il principio già elaborato nella precedente sentenza Kobler (Corte giust., 30 settembre 2003, C-224/01),la Corte di giustizia ha statuito che osta al diritto dell’Unione la normativa nazionale che escluda la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli, per il solo motivo che la violazione del diritto dell’Unione sia derivata dall’interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale. Contrasta altresì con il diritto dell’Unione la normativa che circoscriva tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, quando ciò abbia l’effetto di impedire al singolo di agire nei confronti dello Stato per il danno cagionato dalla violazione manifesta del diritto dell’Unione.

Il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione deve essere, infatti, riconosciuto – pena l’indebolimento complessivo del sistema – anche e soprattutto quando la violazione scaturisca da un cattivo esercizio del potere giurisdizionale, in considerazione del «ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che derivano ai singoli dalle norme comunitarie» e della «circostanza che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale essi possono far valere i diritti che il diritto comunitario conferisce» (punto 31 della sentenza Traghetti del Mediterraneo).

A due anni di distanza dalla sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Commissione europea ha constatato il mancato intervento del legislatore italiano a modifica della legislazione ritenuta non conforme al diritto dell’Unione e ha pertanto intrapreso un ricorso per inadempimento – promosso ai sensi dell’art. 258 TFUE – che si è concluso con la citata sentenza del 24 novembre 2011.

Con tale pronuncia, la Corte di giustizia ha sostanzialmente riconosciuto che l’Italia, non avendo apportato modifica alcuna alla legge. n. 117/1988, neppure per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado «è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado» (punto 48).

Le proposte di modifica della legge n. 117/1988: il primo ed il secondo “emendamento Pini”

La sentenza del novembre 2011, sebbene di mero accertamento della violazione, ha imposto un ripensamento della disciplina della legge n. 117/1988.

Dal par. 1 dell’art. 260 TFUE è, infatti, scaturito l’obbligo di adottare le misure necessarie a realizzare un ampliamento dell’“area” di responsabilità dello Stato per fatto del giudice, riducendone (rectius, escludendone) l’“immunità” dal controllo giurisdizionale, almeno (come visto) per l’ipotesi di mancato rinvio pregiudiziale da parte dell’organo giurisdizionale di ultimo grado.

Tuttavia, sebbene la Corte abbia chiarito che il principio generale della responsabilità per violazione del diritto dell’Unione europea non investe la responsabilità personale del giudice, ma unicamente la responsabilità dello Stato (punto 42 della sentenza Kobler), la riflessione sulle proposte di modifica nel nostro ordinamento sembra essere stato oggetto di una distorsione politica e mediatica che ha fatto leva sull’erronea convinzione che l’obbligo di adeguamento imposto dall’Unione europea all’Italia consistesse anche nell’introdurre una responsabilità diretta dei magistrati.

Di tale falso convincimento è stato espressione, anzitutto, l’emendamento presentato dal senatore Pini al disegno di legge comunitaria 2011 che, in dichiarata attuazione della pronuncia della Corte, introduceva una previsione sulla responsabilità diretta dei giudici.

Lo stesso emendamento è stato ripresentato dallo stesso senatore Pini lo scorso luglio 2014, tra le proposte di modifica alla legge europea 2013 bis. Anche in questo caso, tuttavia, parallelamente a quanto già accaduto nel 2012, dopo una prima approvazione, l’emendamento è stato espunto dal testo definitivo della legge.

L’approvazione in Senato del nuovo disegno di legge sulla responsabilità dei magistrati

Il primo tentativo realmente apprezzabile di adeguamento della legislazione nazionale alle prescrizioni dell’Unione, è rappresentato dal citato disegno di legge n. 1626, recante la proposta di riforma della responsabilità civile dei magistrati. Presentato il 24 settembre 2014 dal Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze – come accennato – esso è stato approvato al Senato, il 20 novembre scorso, con 150 voti favorevoli, 51 contrari e 26 astenuti.

Anche tale disegno di legge risente, tuttavia, in qualche misura della commistione con il piano – invece autonomo e distinto – della responsabilità personale del magistrato, perdurando uno stato di confusione che potrebbe, di fatto, frenarne l’approvazione alla Camera.

Il disegno di legge consta di cinque articoli che intervengono radicalmente sull’impianto della legge n. 117/1988. L’art. 1, in particolare, riscrive il discusso art. 2.

Ai sensi del primo comma, la responsabilità dello Stato è estesa anche agli atti, comportamenti o provvedimenti posti in essere dal magistrato onorario, ma permangono i requisiti di “dolo” e “colpa grave” quali condizioni affinché il singolo possa agire nei confronti dello Stato.

Accogliendo i principali rilievi della Corte, il secondo comma, come novellato, prevede che potrà dar luogo a responsabilità anche l’attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione dei fatti e delle prove. La responsabilità, anche in questo caso, sarà circoscritta alle sole ipotesi in cui la violazione sia stata posta in essere con “dolo” o per “colpa grave”.

La scelta di mantenere quali presupposti della risarcibilità le ipotesi di “dolo” e di grave negligenza del magistrato non risulta comunque – almeno non di per sé – in contrasto con l’obbligo di adeguamento imposto dalla Corte di giustizia, la quale ha infatti precisato (punto 32 della sentenza Traghetti del Mediterraneo)che «considerate la specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto, la responsabilità dello Stato, in un caso del genere, non è illimitata».

Il contrasto sarebbe, invece, confermato nella misura in cui – stando alle precisazioni della Corte – la limitazione della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave avesse l’effetto di precludere il diritto al risarcimento del danno in presenza di una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto dell’Unione.

Tale preclusione può, invece, considerarsi superata dalle modifiche apportate al comma terzo dell’art. 2, ai sensi del quale «costituisce “colpa grave” la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove».

Allo scopo, infine, di ridurre il margine di apprezzamento del concetto di “violazione manifesta”, è aggiunto anche il comma 3 bis, il quale contiene una serie di linee guida, anch’esse ricavate dal citato punto 32 della sentenza Traghetti del Mediterraneo, in base alle quali, per riscontrare il diritto al risarcimento del danno: (i) dovrà considerarsi il grado di chiarezza e precisione della norma violata, dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza; (ii) dovrà tenersi in considerazione la posizione eventualmente adottata da un’istituzione dell’Unione europea, nonché della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo comma, del TFUE.

A tale ultimo proposito resta inteso che «il giudice dovrà adempiere all’obbligo di rinvio salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta interpretazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi» (Corte giust., sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit, causa 283/81)

L’organo giurisdizionale di ultimo grado, pertanto, per evitare di incorrere nella violazione, dovrà sempre motivare in modo dettagliato la sussistenza di una delle circostanze che fanno venire meno l’obbligo di rinvio in base alla giurisprudenza da ultimo richiamata (e, per inciso, si ricorda che siffatta motivazione è necessaria anche per evitare di incorrere in una censura da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nella sentenza dell’8 aprile 2014, Dhahbi contro Italia, ha appunto sancito che se i giudici nazionali non motivano il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione incorrono in una violazione dell’art. 6 CEDU).

La causa del perdurante inadempimento dell’Italia ed il rischio imminente di sanzioni

Come detto, le proposte di riforma che si sono succedute sulla legge n. 117/1988 hanno sempre strumentalizzato il principio della responsabilità dello Stato per fatto del giudice al fine di configurare un meccanismo sanzionatorio diretto del magistrato per il suo operato.

Neppure il DDL n. 1626/2014 può dirsi del tutto estraneo a tale finalità. Pur mantenendo, infatti, inalterato il sistema di responsabilità solo indiretta del giudice, introduce agli artt. 7 ed 8, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione di rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato, rafforzandone il coordinamento con l’azione disciplinare; l’allungamento dei termini per la sua proposizione (da 1 anno a 3 anni); nonché, infine, l’innalzamento della soglia di rivalsa dello Stato sul magistrato, che potrà raggiungere sino alla metà delle annualità di quest’ultimo (a fronte dell’attuale soglia pari al terzo).

Resta, invece, fermo che l’esito del giudizio promosso dal cittadino contro lo Stato non farà «stato» in ordine all’accertamento dei fatti del giudizio di rivalsa.

Senza entrare nel merito dell’opportunità o meno di una diversa disciplina della responsabilità personale del giudice, è un dato di fatto che “l’effetto intimidatorio” di tali previsioni rischia di dilatare ulteriormente i tempi di adeguamento dell’Italia alla pronuncia del 24 novembre 2011.

E ciò potrebbe avere ripercussioni economiche rilevanti nel nostro ordinamento. La Commissione, infatti, a fronte del persistente inadempimento del nostro legislatore, ha avviato nei confronti dell’Italia una nuova procedura di infrazione, ex art. 260, par. 2, TFUE.

Se, dunque, il disegno di legge non ottenesse, in tempi brevi, l’approvazione definitiva alla Camera, la Commissione potrebbe intraprendere la fase contenziosa della procedura, con il rischio, appunto, per non dire la certezza, che questo secondo procedimento per inadempimento si concluda con la comminazione anche di una sanzione pecuniaria a carico del nostro Paese.

 


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