Il caso Booking: prove generali di cooperazione tra le autorità nazionali di concorrenza

1. Introduzione

Lo scorso 21 aprile, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “l’Autorità” o “l’AGCM”) ha adottato un provvedimento di chiusura parziale del procedimento I779 (Mercato dei servizi turistici-Prenotazioni alberghiere on line), accettando e rendendo vincolanti gli impegni presentati da due delle quattro società coinvolte nel procedimento in questione (Booking.com B.V. e Booking.com, di seguito congiuntamente “Booking”) e dichiarando di conseguenza chiusa l’istruttoria nei loro confronti (v. provvedimento n. 25422). L’istruttoria prosegue il suo corso, invece, in relazione alle altre parti del procedimento, ovvero Expedia Inc. ed Expedia Italy S.r.l. (congiuntamente, “Expedia”), che non hanno ritenuto di presentare impegni ai sensi dell’articolo 14 ter della legge n. 287/90.

Il suddetto procedimento ha costituito un esempio, “secondo modalità che non hanno precedenti”, di cooperazione tra diverse autorità nazionali di concorrenza (v. comunicato stampa AGCM), sotto il coordinamento generale della Commissione europea, la quale, tuttavia, non ha ritenuto di avviare un proprio procedimento. L’istruttoria è stata infatti aperta e condotta in parallelo dall’Autorità italiana, dall’Autorité de la concurrence francese e dalla Konkurrensverket svedese, giungendo all’identico epilogo dell’accettazione di impegni presentati da Booking, che quindi avranno effetto vincolante nei tre Stati membri, con un indubbio beneficio in termini di certezza del diritto.

Un approccio autonomo è stato invece adottato dal Bundeskartellamt tedesco, che – pur avendo aperto un procedimento nei confronti di Booking ed Expedia per fattispecie analoghe a quelle del caso in commento – ha scelto di non aderire alla soluzione congiunta di cui sopra. Tale decisione, peraltro, non stupisce, alla luce della pratica decisionale dell’autorità antitrust tedesca. Quest’ultima aveva affrontato, alla fine del 2013, una vicenda dai profili simili al procedimento Booking, che riguardava l’uso, da parte dell’operatore di piattaforma per prenotazioni alberghiere online HRS (Hotel Reservation Service), di clausole di parità tariffaria nei contratti conclusi con strutture ricettive. Il Bundeskartellamt aveva rifiutato gli impegni proposti da HRS, giudicandoli insufficienti a rimediare alle preoccupazioni rilevate ai sensi della normativa antitrust, ritenendo inoltre che gli accordi in questione costituissero  restrizioni verticali hardcore della concorrenza, come tali non esentabili ai sensi del regolamento UE n. 330/2010 della Commissione relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Nel caso Booking, in linea con il precedente di cui sopra, il Bundeskartellamt ha rigettato gli impegni proposti, discostandosi dall’approccio tenuto tra le autorità nazionali di Italia, Francia e Svezia.

 

2. La vicenda all’attenzione dell’Autorità

L’istruttoria nel caso I779 era stata avviata dall’AGCM nel maggio 2014 (v. provvedimento n. 24907), a seguito di segnalazioni da parte di Federalberghi, del Nucleo Speciale Tutela Mercati della Guardia di Finanza e dell’AICA (Associazione Italiana Confindustria Alberghi), aventi ad oggetto asserite restrizioni verticali della concorrenza poste in essere da Booking ed Expedia (congiuntamente, le “Parti”).

I segnalanti censuravano l’utilizzo, da parte delle due società leader a livello mondiale nei servizi di prenotazione online di strutture ricettive (c.d. online travel agencies, o “OTA”), di talune clausole contrattuali, imposte alle strutture alberghiere italiane che desideravano apparire sulle loro piattaforme, e in particolare:

(i) clausole di parità tariffaria e di parità di condizioni (c.d. “Most favoured nation”, o “MFN”), volte a vincolare gli hotel partner a non offrire le proprie strutture a prezzi e/o condizioni migliori tramite altre OTA, e più in generale tramite qualsiasi altro canale sia online sia offline, pena la “squalificazione” della struttura alberghiera nel sistema di ranking (i.e. di posizionamento) della struttura stessa sul sito web delle società;

(ii) clausole di garanzia del miglior prezzo (c.d. “Best Price Guarantees”), con cui le Parti garantivano agli utenti finali che l’offerta presente sulle rispettive piattaforme fosse effettivamente la più competitiva, imponendo alle strutture alberghiere di pareggiare qualsiasi altra migliore offerta trovata online (eventualmente rimborsando la differenza già pagata dal consumatore).

La presenza di tali clausole nelle condizioni generali dei contratti conclusi con gli hotel partner, insieme alla richiesta fatta a questi ultimi dalle Parti di rispettare un livello minimo di commissioni considerato particolarmente oneroso, hanno indotto l’AGCM a ritenere che vi fossero elementi sufficienti per avviare un’istruttoria, al fine di verificare l’esistenza di possibili violazioni dell’articolo 101 TFUE nella forma di un fascio di intese verticali.

Nello specifico, l’Autorità ha espresso la preoccupazione che le clausole MFN potessero determinare, innanzitutto, una riduzione della concorrenza sul prezzo e sulle altre condizioni di offerta, e ciò sia tra le varie OTA, sia tra i diversi canali di vendita (online e offline), limitando di fatto la libertà delle strutture alberghiere partner di offrire le proprie camere e i propri servizi a prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli garantiti sulle piattaforme delle Parti.

Ciò avrebbe inoltre scoraggiato, secondo l’AGCM, l’ingresso di nuovi operatori sul mercato delle piattaforme online per la prenotazione di hotel, peraltro già fortemente concentrato: a Booking ed Expedia sarebbe infatti riconducibile, secondo l’Autorità, almeno il 75% delle prenotazioni alberghiere online.

Infine, l’Autorità ha rilevato che la situazione descritta era suscettibile di attenuare la concorrenza anche sotto il profilo delle commissioni richieste dalle agenzie di prenotazione online alle strutture alberghiere, essendo di fatto impossibile per queste ultime utilizzare il livello delle commissioni quali “leve competitive”.

Il quadro, già critico, era poi ulteriormente aggravato dalla presenza delle già citate clausole “Best Price Guarantees”, che fungevano da meccanismo di monitoraggio del rispetto, da parte degli hotel partner, della clausola MFN, unitamente al sistema del ranking, che costituiva una sanzione molto efficace nei confronti delle strutture ricettive “ribelli”, determinandone in buona sostanza la retrocessione nei risultati delle ricerche e, quindi, la sparizione (de facto) dai maggiori siti web del settore.

Alla luce di tali preoccupazioni, diverse autorità antitrust nazionali hanno deliberato di avviare istruttorie nei confronti di Booking e di Expedia ai sensi dell’articolo 101 TFUE, al fine di accertare il carattere eventualmente restrittivo delle clausole in questione. Come già illustrato, le autorità di Italia, Francia e Svezia hanno portato avanti i rispettivi procedimenti in maniera coordinata, sotto l’ala della Commissione UE, mentre l’autorità tedesca ha deciso di non aderire alla soluzione condivisa.

3. Gli impegni proposti da Booking

Nel dicembre 2014, nel tentativo di “far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria” (v. articolo 14 ter della legge n. 287/90), Booking ha presentato all’Autorità una serie di impegni comportamentali. Identici impegni sono stati presentati all’Autorité de la concurrence e alla Konkurrensverket.

Questi riguardavano, in buona sostanza, una modifica della clausola di parità tariffaria, con il passaggio da una c.d. “MFN ampia” ad una c.d. “MFN ristretta” (completata dal divieto di misure equivalenti). In altri termini, si prevedeva che la clausola MFN trovasse applicazione esclusivamente nei confronti delle tariffe offerte dagli hotel attraverso i propri canali di vendita diretta (online e offline), eccezion fatta per i programmi di sconti e fidelizzazioni offerti dalle strutture alberghiere a “gruppi ristretti di utenti” e a clienti corporate. Costituiscono “canali diretti”, secondo il testo degli impegni, non solo le prenotazioni effettuate all’hotel di persona o tramite il sito web di quest’ultimo, ma anche “motori di ricerca o siti di meta-ricerca” (con uno spettro di applicazione, quindi, piuttosto ampio).

La clausola MFN, al contrario, non sarebbe più stata operativa nella sua versione “ampia”, ovvero in relazione ai prezzi e alle tariffe praticati dalle strutture alberghiere nei confronti delle altre OTA e su qualsiasi altro canale di vendita “indiretta” (ad esempio, sempre secondo Booking, agenzie di viaggio tradizionali, tour operator, ecc. “non controllati, direttamente o indirettamente, dagli Hotel”).

Anche la clausola “Best Price Guarantee” costituiva l’oggetto di specifici impegni, volti a limitarne l’operatività solo in relazione ad eventuali violazioni della clausola MFN “ristretta”.

4. Il market test, le modifiche apportate agli impegni e l’esito del procedimento

Nell’ambito della consultazione pubblica avviata sul testo degli impegni, diversi operatori attivi sul mercato in questione (per lo più altre OTA e gruppi alberghieri, anche in coordinamento con le associazioni nazioni di  albergatori di Francia, Svezia e di altri Stati membri) hanno presentato le proprie osservazioni, manifestando preoccupazioni sulle proposte avanzate da Booking.

Quest’ultima, ad esito di tale consultazione, ha apportato alcune modifiche accessorie al testo degli impegni originariamente proposti, consistenti in particolare (i) nell’esclusione di tutti i canali di prenotazione offline dall’applicazione della clausole MFN (a condizione che i prezzi praticati in tali canali non siano resi pubblici online) e (ii) nell’eliminazione dei riferimenti ai “gruppi ristretti di utenti”, permettendo di conseguenza agli hotel di offrire tariffe scontate ai propri clienti online, sempre che non siano dirette al grande pubblico. In aggiunta, la clausola di parità è stata eliminata anche con riferimento ad altre condizioni dell’offerta, quali la politica di cancellazione, e il numero o tipo di stanze disponibili.

Alla luce del market test e delle modifiche agli impegni, l’Autorità (e, allo stesso modo, i suoi omologhi francese e svedese) si è detta convinta, nel già citato provvedimento di chiusura dell’istruttoria nei confronti di Booking, che gli impegni, nella loro versione definitiva, fossero “idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali relative alle condotte […] contestate nel provvedimento di avvio”. In particolare, le strutture ricettive sarebbero effettivamente libere, e in misura di gran lunga superiore alla situazione precedente, di differenziare il prezzo delle proprie strutture fra i diversi canali di vendita (e fra le varie OTA), consentendo lo sviluppo di una concorrenza reale tra queste ultime. Inoltre, il sistema delle commissioni tornerebbe a costituire un aspetto fondamentale della suddetta concorrenza, consentendo alle OTA di avvalersi delle commissioni quale vera e propria “leva concorrenziale”.

Di conseguenza, come anticipato, le tre autorità hanno sancito la chiusura dell’istruttoria nei confronti di Booking, e gli impegni proposti da quest’ultima sono entrati in vigore il 1° luglio 2015, per una durata complessiva fissata a cinque anni.

5. La cooperazione nell’ambito dello European Competition Network al banco di prova

Lasciando da parte le possibili osservazioni sul carattere appropriato degli impegni (in particolare, per il fatto che il caso in commento comprende temi ancora sostanzialmente nuovi, rendendo una “decisione-guida” sul punto auspicabile), l’aspetto più interessante del caso Booking è costituito dalla cooperazione attuata tra tre autorità nazionali di concorrenza, portata avanti “secondo modalità che non hanno precedenti” (v. comunicato stampa AGCM, già citato).

In questo senso, tale procedimento costituisce una sorta di “prova generale” del funzionamento del meccanismo di cooperazione tra autorità nazionali di concorrenza nel quadro dello European Competition Network (“ECN”) istituito dal regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato. Quest’ultimo strumento, integrato sul punto dalla comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza, oltre che da altri strumenti di soft law, ha infatti sancito la creazione di una “rete di pubbliche autorità” di cui fanno parte la Commissione e le autorità antitrust degli Stati membri dell’Unione, con lo scopo di cooperare strettamente nella tutela della concorrenza e nell’applicazione parallela degli articoli 101 e 102 TFUE (v. punto 1 della comunicazione della Commissione). Tale rete deve, tra l’altro, “assicurare […] l’efficiente divisione del lavoro” (v. punto 3). A tal fine, varie disposizioni disciplinano il raccordo, nella trattazione dei casi che interessano più di uno Stato membro, tra le diverse autorità garanti della concorrenza a livello nazionale e la Commissione europea (v. sezione 2.1. della comunicazione).

Nel procedimento Booking è stato fatto certamente un buon uso di tali disposizioni, con la conseguenza che gli impegni presentati sono stati resi vincolanti in tre Stati membri, a seguito della trattazione congiunta del caso da parte di diverse autorità nazionali. Tale circostanza, come già rilevato, deve essere valutata positivamente, in quanto stabilisce una sorta di level playing field in parte del territorio UE, con effetti benefici in tema di certezza del diritto.

Tuttavia, proprio il fatto che la soluzione di un procedimento istruito da diverse autorità nazionali possa essere diversa da uno Stato membro all’altro, creando evidenti problemi di coerenza, costituisce un rilevante punto debole. Ciò è conseguenza, a sua volta, dei punti deboli propri del sistema dell’ECN.

In primo luogo, si deve rilevare che il carattere volontario della cooperazione tra autorità costituisce un limite rilevante, finendo per affidare la coerenza del sistema alla buona volontà delle varie autorità nazionali, oltre che alla possibilità di trovare un accordo sulla linea da adottare. Sul punto, in effetti, la comunicazione già citata dispone che “le autorità che trattano il caso in parallelo devono coordinare per quanto possibile le loro attività” (punto 13), senza mettere a punto però soluzioni concrete per evitare esiti contraddittori dei procedimenti.

Lo stesso intervento centralizzatore della Commissione, che potrebbe fungere da garanzia della coerenza ultima nei casi più critici, è in ultima analisi volontario, e dunque incerto. Il punto 14 della comunicazione prevede infatti che la Commissione sia nella posizione più idonea a trattare un caso quando “uno o più accordi o pratiche, ivi comprese le reti di accordi o di pratiche simili, incidono sulla concorrenza in più di tre Stati membri”, ma, di nuovo, non istituisce alcun obbligo in tal senso. Inoltre, la stessa comunicazione (v. punti 54 e seguenti) disciplina l’ipotesi limite in cui, a seguito dell’attribuzione di un caso a una o più autorità nazionali della concorrenza, la Commissione intervenga per avocare a sé il procedimento in questione (a norma dell’articolo 11, paragrafo 6, del regolamento CE n. 1/2003): ciò può avvenire, tra l’altro, laddove “i membri della rete preved[a]no di adottare decisioni contrastanti sullo stesso caso”. Ancora una volta, la decisione è tuttavia lasciata alla libera valutazione della Commissione. Coerentemente, nel caso in commento, pur coordinando le indagini dall’alto, la Commissione non ha ritenuto necessario aprire un proprio procedimento. Si è persa così una buona occasione per dettare linee guida ad uso delle autorità garanti degli Stati membri, in una materia che presenta profili ancora sostanzialmente nuovi e inesplorati.

L’esistenza di meccanismi di cooperazione “deboli” apre la strada, come del resto dimostra il caso Booking (lato tedesco), alla possibilità di soluzioni divergenti di casi simili, con evidenti ricadute in termini di certezza del diritto.

Ciò vale, nel caso di specie, innanzitutto per Expedia, nei cui confronti proseguono i vari procedimenti nazionali che si sono conclusi invece in maniera coordinata rispetto a Booking. Se la cooperazione è (in parte) riuscita sul versante degli impegni, nulla garantisce che ciò avverrà anche laddove si decidesse di infliggere un’ammenda.

Le successive, eventuali fasi di controllo giudiziale sulle decisioni assunte dalle autorità antitrust nazionali aprono poi scenari di incertezza aggiuntivi, posto che non vi sono meccanismi di cooperazione tra l’ECN e le corti nazionali (eccezion fatta per la facoltà della Commissione di intervenire a titolo di amicus curiae nei procedimenti nazionali presentando osservazioni scritte, a norma dell’articolo 15(3) del regolamento n. 1/2003; cfr. sul punto la comunicazione della Commissione relativa alla cooperazione tra la Commissione e le giurisdizioni degli Stati membri dell’UE ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e 82 del trattato CE, punto 38 e seguenti). Peraltro, nel caso Booking il rischio di soluzioni contraddittorie a livello giurisdizionale è tutt’altro che remoto, dal momento che Federalberghi ha annunciato di aver presentato ricorso dinanzi al TAR Lazio avverso la decisione dell’AGCM.

Infine, vale la pena accennare alla possibilità, oggi sempre più concreta, anche in virtù della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014  (cfr. in questa Rivista, F. Rossi Dal Pozzo) che un ruolo sia giocato dai giudici nazionali nell’ambito del private enforcement, ovvero nelle azioni di risarcimento del danno, promosse ai sensi del diritto interno, per la violazione della normativa antitrust. In particolare, l’articolo 9 della direttiva (che dovrà essere recepita negli ordinamenti degli Stati membri entro il 27 dicembre 2016) dispone che una decisione definitiva che constata una violazione del diritto della concorrenza, adottata da un’autorità nazionale garante della concorrenza, abbia valore di accertamento definitivo ai fini dell’azione per il risarcimento del danno proposta dinanzi ai giudici nazionali. Ciò implica che l’accertamento effettuato in sede di public enforcement sia traslato nella successiva fase di private enforcement, perpetuando il rischio di conflitti tra una giurisdizione e l’altra (mitigato, certamente, dallo strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex articolo 267 TFUE, richiamato dalla direttiva quale potere-dovere del giudice nazionale).

Alla luce di quanto sopra, si deve rilevare che il sistema della rete di cooperazione tra le autorità nazionali di concorrenza, per quanto si presti ad applicazioni certamente positive e degne di lode, presenta anche svariati punti deboli. Resta da vedere se, ed in quale misura, tali debolezze siano eliminabili senza rischiare di ingabbiare l’azione del public enforcement (sia nazionale sia a livello UE) in una griglia di regole troppo rigide, e dunque penalizzanti nel caso concreto. Certo è che il sistema potrà migliorare soltanto attraverso lo sviluppo di una pratica decisionale sul punto, e che quest’ultimo dovrà passare necessariamente per tentativi, errori, “prove generali”. In questo senso, il caso Booking può essere un primo passo verso una cooperazione più forte, e, dunque, più efficace.

Natalia Latronico


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