Dialogo, ma con fermezza: la Corte di giustizia “salva” il programma OMT

1. Introduzione

Con una recente e attesa sentenza (causa C-62/14, Gauweiler e altri c. Deutscher Bundestag), già oggetto di diversi commenti (su sidiblog, federalismi.it, eulawanalysis, europaeuslaw, verfassungsblog), la Corte di giustizia ha confermato la legittimità del programma OMT della Banca centrale europea, pronunciandosi nell’ambito del primo rinvio pregiudiziale del Tribunale costituzionale federale tedesco.

La vicenda processuale in esame trae origine da una serie di azioni (quattro ricorsi diretti e un conflitto tra poteri dello Stato) promosse dinanzi al Tribunale costituzionale federale per contestare la compatibilità con la costituzione tedesca del cosiddetto programma OMT (Outright Monetary Transactions) con il quale la BCE annunciava un programma di acquisto sul mercato secondario, in quantità potenzialmente illimitata, di titoli sovrani di Stati membri in condizioni di difficoltà di bilancio e soggetti a programmi di assistenza finanziaria.

Riuniti i ricorsi, il Bundesverfassungsgericht (BverfG) ha constatato che la risoluzione dei quesiti posti dai ricorrenti richiedeva l’esame della compatibilità dell’operato della BCE con diverse norme di diritto primario dell’Unione e per questo motivo, con una decisione che è stata oggetto di molta attenzione da parte della dottrina (v., ex multis, un intero numero del German Law Journal, F. Bassan, R. Caponi, nonché i commenti su sidiblog e Osservatorio AIC), si è rivolto per la prima volta alla Corte di giustizia.

Il rinvio presentava peraltro diversi profili di anomalia.

In primo luogo, i ricorsi promossi riguardavano un piano di intervento che non soltanto non ha mai ricevuto attuazione, ma neppure si è tradotto in alcun atto formale. L’unico documento della BCE nel quale si faccia riferimento al programma OMT è infatti un comunicato stampa, pubblicato il 6 settembre 2012 (v. il testo qui), nel quale si afferma che «the Governing Council of the European Central Bank (ECB) has today taken decisions on a number of technical features regarding the Eurosystem’s outright transactions in secondary sovereign bond markets that aim at safeguarding an appropriate monetary policy transmission and the singleness of the monetary policy». In realtà, non è mai stata adottata alcuna decisione di approvazione del piano, sia per l’opposizione riscontrata in seno al Consiglio direttivo sia per l’effetto prodotto sui mercati dal mero annuncio di un intervento della BCE.

La decisione di rinvio appariva inoltre singolare perché esprimeva seri dubbi sulla compatibilità delle misure contestate con il principio di attribuzione. Ad avviso del Tribunale costituzionale, l’acquisto di titoli del debito pubblico degli Stati membri costituirebbe infatti un atto di politica economica, estraneo alle competenze della BCE, e non di politica monetaria.

Poiché il Bundesverfassungsgericht, a partire dalla sentenza sul trattato di Maastricht del 1993 (v. il testo qui),si riserva di verificare la conformità degli atti delle istituzioni europee al principio di attribuzione, la proposizione del rinvio pregiudiziale era accompagnata da una non troppo velata minaccia: qualora la Corte di giustizia non aderisse ad un’interpretazione assai restrittiva del mandato della BCE, il Tribunale costituzionale potrebbe ignorare la sentenza della Corte, dichiarando che il programma OMT è una misura ultra vires, priva di copertura nella norma costituzionale tedesca che autorizza cessioni di sovranità in favore dell’Unione.

A un anno esatto dalla decisione di rinvio, l’Avvocato generale Cruz Villalón ha presentato le proprie conclusioni, già oggetto di analisi anche su questa Rivista, invitando la Corte, da un lato, a disattendere le numerose eccezioni di irricevibilità sollevate dalle parti intervenute; dall’altro, nel merito, a concludere che la BCE avesse agito nei limiti del proprio mandato e nel rispetto delle altre disposizioni di diritto primario che ne disciplinano l’operato.

La sentenza della Corte, pur riprendendo in buona parte le argomentazioni dell’Avvocato generale, risulta assai più concisa rispetto alle conclusioni presentate da quest’ultimo e, soprattutto, se ne discosta su alcuni punti importanti, quali il ruolo della BCE nella definizione della condizionalità e il test di proporzionalità.

2. Le “difficoltà funzionali” del rinvio e il problema della ricevibilità

Come è stato osservato (J. Alberti), la Corte avrebbe potuto trovare numerose ragioni per dichiarare irricevibile la domanda, evitando di entrare nel merito della questione.

In primo luogo, le caratteristiche peculiari del procedimento principale cui si è accennato sollevavano, per riprendere l’espressione usata dall’Avvocato generale, una “difficoltà funzionale”. Come è stato sostenuto con vigore dal governo italiano, la decisione di rinvio non esprimerebbe infatti un dubbio effettivo sulla validità o sull’interpretazione del diritto dell’Unione necessario alla risoluzione della controversia, in quanto il Bundesverfassungsgericht non si ritiene vincolato dalla sentenza della Corte e si riserva di disattenderla.

A differenza dell’Avvocato generale, che aveva dedicato a questo profilo un’analisi piuttosto articolata, la Corte ha affrontato la questione in modo decisamente sintetico. Dopo avere ribadito il principio – che è anche un monito al BVerfG – secondo il quale la risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale presuppone che il giudice nazionale ne riconosca il valore vincolante, essa ha osservato che, nel caso di specie, poiché il rinvio verte direttamente sull’interpretazione e sull’applicazione del diritto dell’Unione, la sentenza della Corte «produce conseguenze dirette ai fini della soluzione della lite nei procedimenti principali» (punto 14). Pertanto, spettando al giudice nazionale la valutazione sulla necessità di una pronuncia pregiudiziale e sulla rilevanza delle questioni, la Corte ha ritenuto opportuno rispondere alla domanda di rinvio, ricordando però che il Bundesverfassungsgericht sarà tenuto a seguire l’interpretazione indicata nella sentenza pregiudiziale.

Esaminando successivamente le eccezioni di ricevibilità in senso proprio, la Corte ha innanzitutto rapidamente respinto l’argomento, invero poco convincente, relativo al carattere fittizio del procedimento, osservando che spetta al giudice nazionale verificare l’esistenza di una effettiva controversia. Essa ha altresì escluso che la questione potesse ritenersi meramente ipotetica in difetto di attuazione del programma OMT, dal momento che le questioni sottoposte alla Corte nel contesto di un rinvio pregiudiziale sono assistite da una presunzione di rilevanza, nonché alla luce delle peculiarità dell’ordinamento giuridico tedesco, che consente una tutela anche preventiva delle posizioni giuridiche individuali mediante lo strumento del ricorso diretto individuale al Tribunale costituzionale.

Quanto all’ulteriore obiezione secondo la quale il comunicato stampa della BCE non sarebbe un atto produttivo di effetti giuridici nei confronti di terzi e, pertanto, non potrebbe essere oggetto di un rinvio pregiudiziale di validità, la Corte ha fatto leva sull’ambiguità della decisione del BVerfG, apparentemente qualificandola come un rinvio pregiudiziale di interpretazione. Questa soluzione appare piuttosto disinvolta alla luce del tenore della decisione di rinvio, che ha proposto una questione pregiudiziale di interpretazione soltanto in subordine a una questione di validità, ma rivela probabilmente un saggio pragmatismo. La Corte ha infatti evitato di concludere per l’irricevibilità, anche soltanto parziale, della domanda – esito che avrebbe potuto essere letto come uno schiaffo al Bundesverfassungsgericht – senza però rimettere in discussione, come invece aveva proposto l’Avvocato generale, una consolidata giurisprudenza sui rapporti tra ricorso per annullamento e rinvio pregiudiziale di validità e sulle condizioni di impugnazione degli atti (sul punto, v. qui).

3. Il programma OMT e il mandato della BCE e del SEBC

Nel merito, il primo profilo affrontato dalla sentenza ha riguardato la compatibilità del programma contestato con le attribuzioni della Banca centrale europea e del Sistema europeo delle banche centrali quali definite dai trattati.

La Corte ha innanzitutto ricordato i compiti della BCE e del SEBC nella definizione della politica monetaria dell’Unione. Tra le norme di diritto primario evocate, è significativo lo spazio dedicato al requisito dell’indipendenza prescritto dall’art. 130 TFUE, profilo invero del tutto trascurato dalla decisione di rinvio e che ha invece avuto un rilievo importante nel percorso argomentativo seguito dalla sentenza in commento. Poiché l’attività del SEBC e della BCE, se si eccettua il sostegno alle «politiche economiche generali nell’Unione» (art. 127, par. 1, TFUE), è essenzialmente limitata all’ambito della politica monetaria, la Corte ha dovuto tracciare una linea di demarcazione tra politica monetaria e politica economica. In linea con il precedente rappresentato dal caso Pringle, essa ha seguito un criterio di tipo finalistico. Poiché il principale obiettivo della politica monetaria consiste nel mantenimento della stabilità dei prezzi (art. 127, par. 1, TFUE), rientrano nelle competenze del SEBC gli atti che concorrano principalmente al raggiungimento di tale finalità. La Corte ha ritenuto soddisfatta questa condizione con riguardo al programma OMT, di fatto accogliendo interamente le argomentazioni della BCE, che ha giustificato il piano con l’esigenza di ripristinare il corretto funzionamento dei canali di trasmissione della politica monetaria.

L’argomento, in sintesi, è il seguente. Le decisioni di politica monetaria adottate dalla BCE, principalmente mediante la fissazione dei tassi di interesse, si trasmettono ai mercati attraverso i cosiddetti canali (o meccanismi) di trasmissione monetaria. Una delle conseguenze prodotte dalla crisi è consistita nell’elevato aumento dei tassi di interesse sui titoli di debito pubblico di alcuni paesi della zona euro. La conseguente frammentazione del mercato dei titoli di Stato ha compromesso la corretta trasmissione degli impulsi monetari. In queste condizioni, la Corte ha ritenuto che rientrasse tra i poteri della BCE un intervento finalizzato al ripristino del corretto funzionamento dei meccanismi di trasmissione così compromesso, a garanzia dell’unitarietà della politica monetaria. Le misure in questione potrebbero produrre anche effetti ulteriori e, in particolare, incidere sulla stabilità della zona euro. Tale circostanza sarebbe tuttavia irrilevante ai fini della classificazione del programma OMT come misura di politica monetaria, trattandosi di effetti meramente indiretti.

La Corte ha successivamente preso in esame la selettività e la condizionalità della misura contestata, due caratteristiche che, ad avviso del BVerfG, consentirebbero di escluderne la natura monetaria. Muovendo, come si è detto, dall’obiettivo dichiarato del programma OMT, la sentenza giunge coerentemente alla conclusione opposta. Con riguardo alla selettività, la Corte osserva che, se lo scopo del piano è il ripristino dei canali di trasmissione monetaria, è logico che esso non debba riguardare i titoli del debito pubblico di tutti gli Stati membri, ma debba anzi trovare attuazione soltanto laddove si sia verificata una distorsione della normale trasmissione degli impulsi di politica monetaria.

Altra caratteristica del programma OMT è la condizionalità: esso prevede l’acquisto di titoli del debito pubblico solo a favore di Stati sottoposti a un programma di assistenza finanziaria dell’ESFS o del MES e a condizione che siano pienamente rispettati i programmi di aggiustamento macroeconomico concordati in tale sede. Secondo la Corte questa circostanza, lungi dal far ricadere la misura al di fuori dell’ambito della politica monetaria, costituisce anzi un correttivo necessario alla selettività. La condizionalità assicura infatti che l’accesso al finanziamento del debito pubblico tramite il programma OMT non consenta agli Stati membri interessati di discostarsi dai programmi di aggiustamento, vanificando le misure di politica economica volte al risanamento dei conti pubblici.

A differenza delle conclusioni dell’Avvocato generale, la sentenza non esamina la legittimità dell’intervento della BCE nella determinazione e nell’attuazione della politica di condizionalità. Come è noto, la Banca centrale europea svolge funzioni di assoluto rilievo nell’elaborazione dei programmi di assistenza finanziaria e nella vigilanza sul rispetto degli impegni assunti dagli Stati membri quale condizione per la concessione dell’assistenza (v. l’art. 13 del Trattato istitutivo del MES). Secondo l’Avvocato generale, sorgerebbero pertanto dubbi sulla legalità del piano OMT, la cui attuazione dipenderebbe da condizioni che non sono stabilite da un terzo, bensì che la stessa BCE contribuisce a determinare: il programma potrebbe infatti essere percepito non come una misura di politica monetaria, ma come uno strumento al servizio della condizionalità macroeconomica, di dubbia compatibilità con il mandato dell’istituzione. Ad avviso dell’AG, la BCE dovrebbe quindi astenersi dal partecipare alla vigilanza sull’assistenza finanziaria nei confronti di Stati membri i cui titoli di Stato siano oggetto di operazioni nell’ambito del programma OMT.

Questo argomento non è stato ripreso dalla Corte, per la quale costituisce garanzia sufficiente la complementarità tra l’attività del MES e il piano contestato, derivante dalla netta distinzione e dalla reciproca indipendenza degli obiettivi dell’uno e dell’altra: da un lato la preservazione dei canali di trasmissione monetaria, dall’altro la stabilità dell’euro. L’intervento della BCE nella determinazione delle politiche di condizionalità e nel controllo sulla loro attuazione non incide pertanto sulla legittimità delle misure contestate, la cui attuazione dovrà però essere «rigorosamente subordinat[a] all’esistenza di perturbazioni del meccanismo di trasmissione della politica monetaria o dell’unicità di questa politica» (punto 61).

4. Il giudizio di proporzionalità

Una volta ricondotto il programma OMT all’ambito della politica monetaria, la Corte è passata a esaminare la sua compatibilità con il principio di proporzionalità. Benché si tratti evidentemente di un’analisi assai difficile da compiere in assenza di atti “formali” e di qualsivoglia forma di attuazione del programma, è interessante considerare quale standard di scrutinio debba applicarsi alle operazioni non convenzionali della BCE.

Anche su questo punto la Corte si è discostata dalla posizione dell’Avvocato generale, secondo il quale il carattere non convenzionale della misura imporrebbe un controllo rigoroso: per un verso ciò si tradurrebbe in un onere motivazionale particolarmente stringente, per altro verso occorrerebbe valutare la proporzionalità della misura in senso stretto (rapporto tra costi e benefici).

La Corte ha invece seguito un criterio assai più elastico, ritenendo che la complessità e la natura tecnica delle operazioni in esame giustifichino un ampio margine di discrezionalità (punto 68). Di conseguenza, l’operato della BCE sarà censurabile soltanto qualora sia viziato da un «manifesto errore di valutazione» (punto 74).

5. La compatibilità con il divieto di acquisto diretto di titoli del debito pubblico degli Stati membri

Il rinvio pregiudiziale del BVerfG verteva, oltre che sulla riconducibilità del piano OMT all’ambito della politica monetaria, sulla sua compatibilità con l’art. 123, par. 1, TFUE, che vieta alla BCE e alle banche centrali nazionali la concessione di facilitazioni creditizie agli Stati membri e l’acquisto diretto di titoli del loro debito pubblico. La Corte, accogliendo, in linea di principio, un argomento sollevato dalla decisione di rinvio, ha riconosciuto l’illegittimità di misure che comportino l’aggiramento del divieto in questione. In altri termini, non è vietato soltanto l’acquisto diretto, ossia sul c.d. mercato primario, di titoli di Stato, ma anche l’acquisto di questi ultimi sui mercati secondari, se tale operazione produce, «in pratica, […] un effetto equivalente a quello dell’acquisto diretto» (par. 97). Applicando questo ragionamento al caso di specie, la Corte è tuttavia giunta alla conclusione che il programma OMT non costituisce un aggiramento del divieto in parola, purché la sua eventuale attuazione sia subordinata a talune condizioni. Da un lato, dovrà essere rispettato un termine minimo tra l’emissione dei titoli sul mercato primario e il loro acquisto sul mercato secondario; dall’altro, la decisione di acquisto dei titoli e il volume degli acquisti non potranno essere oggetto di annunci anticipati. Poiché escludono la certezza che i titoli del debito pubblico emessi dagli Stati membri saranno riacquistati dalla BCE, tali garanzie sono sufficienti, secondo la Corte, perché il programma non produca un effetto equivalente all’acquisto di titoli direttamente all’emissione.

Ulteriori garanzie, che limitano il potenziale effetto negativo del piano OMT sulle politiche di bilancio degli Stati membri, sono poi desumibili dalle caratteristiche del piano stesso, limitato ad alcuni tipi di titoli e ai soli Stati membri impegnati in un programma di aggiustamento macroeconomico e aventi accesso al mercato obbligazionario, restandone invece esclusi gli Stati in condizioni di difficoltà talmente gravi da non essere in grado di finanziarsi sul mercato. Infine, una garanzia importante è costituita dalla facoltà della BCE di rivendere in qualsiasi momento i titoli acquistati, scoraggiando comportamenti di free riding da parte dello Stato membro interessato.

6. Osservazioni critiche

Quando il BVerfG ha sollevato il rinvio pregiudiziale nel gennaio 2014, la dottrina si è interrogata a lungo e approfonditamente su quanto la decisione di rinvio fosse realmente ispirata al principio di leale cooperazione. Ora la domanda può essere rovesciata e ci si può chiedere quanta propensione al dialogo abbia manifestato la Corte di giustizia.

Certamente, la Corte avrebbe potuto chiudere il procedimento con una decisione di irricevibilità e ha scelto di non farlo. Questo è certamente un segnale di disponibilità alla cooperazione. Al tempo stesso, pur ricordando il carattere vincolante della sentenza pregiudiziale per il giudice nazionale, essa ha evitato di insistere sugli aspetti più controversi della decisione di rinvio, ossia la compatibilità del controllo sulle competenze con alcuni principi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione, quali il primato e la leale cooperazione, e con l’articolazione del sistema giurisdizionale dell’UE, nonché la legittimità di un sindacato unilaterale sul rispetto dell’identità costituzionale nazionale.

Le aperture finiscono tuttavia qui poiché, nel merito, la Corte ha respinto tutte le censure.

La soluzione accolta dalla sentenza, che ritiene le operazioni annunciate nel comunicato stampa del settembre 2012 coerenti con il mandato della BCE, pare peraltro condivisibile.

È innanzitutto appropriata – non soltanto perché coerente con la sentenza Pringle – l’adozione di un criterio finalistico, fondato sull’obiettivo del programma contestato, per tracciare la linea di demarcazione tra politica monetaria e politica economica.

In alternativa, la Corte avrebbe potuto distinguere a seconda dell’oggetto della misura, valutando se il tipo di operazioni previste dal piano OMT ricada nell’ambito della politica economica o della politica monetaria. Si tratta però di un criterio del tutto inidoneo a definire i limiti delle competenze della BCE, poiché – come la Corte stessa ha rilevato – lo Statuto del SEBC e della BCE espressamente permette operazioni sui mercati finanziari, consistenti nell’acquisto e nella vendita di titoli obbligazionari (art. 18).

La Corte avrebbe altresì potuto fondare la distinzione sugli effetti della misura, valutando se le operazioni compiute dalla BCE incidano in concreto sull’unitarietà della politica monetaria e sulla stabilità dei prezzi ovvero sulla sostenibilità finanziaria degli Stati membri. Anche questo criterio è tuttavia insoddisfacente, sia in ragione della mancata attuazione del piano, che non consente di stimarne con precisione le ricadute sui mercati, sia perché politica economica e politica monetaria non costituiscono ambiti reciprocamente impermeabili, cosicché è naturale che una misura monetaria produca anche effetti indiretti sulla condizione finanziaria degli Stati membri e che, viceversa, misure di politica economica possano produrre conseguenze sulla politica monetaria. Ciò è tanto più vero in relazione alla misura contestata, finalizzata al ripristino dei canali mediante i quali gli impulsi di politica monetaria si trasmettono all’economia reale.

Per quanto riguarda il test di proporzionalità, come è stato osservato (A. Pisaneschi, M. Goldmann) l’adozione di un criterio di scrutinio “deferente” appare senz’altro opportuna. Innanzitutto, esso è coerente con il controllo limitato che la Corte generalmente compie in relazione all’attività delle istituzioni. Inoltre, la natura altamente tecnica della materia e il principio di indipendenza della BCE rafforzano questa conclusione, suggerendo che l’istituzione monetaria debba poter disporre di un ampio margine di discrezionalità. L’esercizio di un sindacato debole risulta infine ancor più giustificato se si tiene conto delle questioni controverse nel caso di specie – attinenti essenzialmente agli esatti confini della politica monetaria – non soltanto caratterizzate da un elevato livello di complessità, ma anche oggetto di profonde divergenze di opinione tra gli esperti della materia. In questo contesto, il self-restraint appare necessario a evitare che le decisioni giurisdizionali si traducano in una passiva accettazione di una certa teoria economica a preferenza di altre, senza che i giudici possano addurre, a sostegno di questa scelta, una qualche forma di sapienza superiore (sul punto, v. F. Bassan).

Ci si può invece rammaricare che la Corte non abbia condiviso i timori espressi dall’Avvocato generale in merito al ruolo della BCE nell’elaborazione della politica di condizionalità. Invero, il conferimento alla Banca centrale europea di compiti importanti nella negoziazione delle misure di aggiustamento macroeconomico e nella sorveglianza sulla loro attuazione era già stato ritenuto legittimo nel caso Pringle, nel quale la Corte aveva giudicato le funzioni delegate alla BCE dal trattato MES compatibili con le caratteristiche essenziali dell’istituzione quali definite dai trattati. Nondimeno, la questione avrebbe forse meritato qualche considerazione anche nella pronuncia in commento, poiché non si può escludere che l’attività della BCE quale soggetto negoziatore, ovvero nell’esercizio di funzioni di vigilanza, influisca sulle operazioni che la stessa pone in essere nell’ambito della politica monetaria. La preoccupazione appare inoltre confermata dall’insistenza della Corte sulla previsione di una rigorosa condizionalità quale presupposto imprescindibile della legittimità del programma OMT. Alla luce di questa premessa, appare condivisibile il ragionamento dell’Avvocato generale: se la compatibilità dell’operato della BCE con i trattati dipende dal puntuale rispetto delle condizioni imposte agli Stati interessati nel quadro degli interventi di assistenza finanziaria, è ragionevole che queste condizioni siano definite da un soggetto terzo e che altresì a un terzo siano affidate le corrispondenti funzioni di controllo.

7. Le prime reazioni della dottrina tedesca e gli esiti possibili del giudizio interno

In ultimo, è interessante esaminare le primissime reazioni della dottrina tedesca e, soprattutto, interrogarsi sui possibili sviluppi della vicenda davanti al Bundesverfassungsgericht, cui spetta ora l’ultima parola.

Se si eccettuano le reazioni immediate dei promotori dei ricorsi – vi è chi è arrivato a definire la sentenza una “dichiarazione di guerra” al Tribunale costituzionale – e di ambienti notoriamente vicini a tali soggetti, i primi commenti sono in larga parte positivi e insistono principalmente sulla disponibilità al dialogo dimostrata dalla Corte di giustizia (C. Herrmann, M. Goldmann, H. Sauer, F. Weber). Non va del resto dimenticato che la decisione di rinvio aveva suscitato critiche assai severe, sia in dottrina sia all’interno dello stesso Tribunale, al punto che uno dei giudici, in dissenso dalla maggioranza, aveva accusato il BVerfG di avere a sua volta agito al di fuori delle proprie competenze (v. qui).

Quanto agli scenari possibili, non è facile fare previsioni.

Un primo profilo di incertezza investe la composizione del Tribunale. La causa è infatti pendente dinanzi alla seconda sezione (II. Senat), la cui composizione è stata parzialmente rinnovata dopo la pronuncia della decisione di rinvio. La legge che disciplina il funzionamento del Bundesverfassungsgericht esclude tuttavia una variazione nella composizione del collegio una volta iniziato l’esame della causa (§ 15.3.1 BVerfGG). Pertanto, probabilmente i giudici König e Maidowski non sostituiranno i giudici Lübbe-Wolff e Gerhardt, il cui mandato è scaduto, e la decisione finale spetterà ai restanti sei componenti del collegio. Poiché sei è anche il numero minimo richiesto per la validità delle deliberazioni, tuttavia, la ricostituzione del collegio si renderebbe necessaria qualora un altro giudice lasciasse prima della decisione della causa.

Nel merito, si prospettano due possibilità.

Il Tribunale potrebbe accettare la pronuncia della Corte di giustizia ed escludere la sussistenza di una violazione della Costituzione tedesca. A favore di questa opzione militano l’impegno all’apertura verso il diritto dell’Unione (Europarechtsfreundlichkeit) teorizzato nella decisione Honeywelle ribadito nell’ordinanza di rinvio, nonché alcune dichiarazioni pubbliche di componenti del collegio. Di contro, questa soluzione sembra trovare un serio ostacolo nella formulazione della domanda di rinvio pregiudiziale, che argomenta con ampiezza e vigore la convinzione del BVerfG circa l’incostituzionalità del programma OMT.

Il Bundesverfassungsgericht potrebbe perciò concludere – ed è questo il secondo esito possibile – che il piano della BCE è un atto ultra vires. Non è tuttavia chiaro quali possano essere le conseguenze di una siffatta decisione, anche in ragione dell’oggetto del ricorso. Non soltanto un comunicato stampa mal si presta a costituire l’oggetto di un controllo sul rispetto del principio di attribuzione, ma oltretutto i ricorsi non miravano all’accertamento dell’illegittimità di un atto, bensì di una condotta omissiva del parlamento e del governo nazionali, che ad avviso dei ricorrenti avrebbero dovuto attivarsi per l’annullamento della misura controversa.

Dall’accertamento dell’incostituzionalità del programma OMT deriverebbe con ogni probabilità il divieto per ciascun organo dello Stato (inclusa la Bundesbank, la cui collaborazione è fondamentale per l’attuazione delle misure di politica monetaria decise dal SEBC) di concorrere alla sua attuazione. Dal momento che tale piano è finora rimasto sulla carta, le conseguenze pratiche sarebbero probabilmente di scarso rilievo.

A questo obbligo negativo si potrebbe forse aggiungere un dovere, in capo al governo e al parlamento tedeschi, di attivarsi per la revoca della misura contestata, ma è evidente che sarebbe un obbligo simbolico, in difetto di strumenti giuridici che permettano di influire sulle decisioni della BCE. Insomma, gli effetti immediati di un’eventuale declaratoria di incostituzionalità sarebbero probabilmente piuttosto limitati e potrebbero risolversi, ad esempio, in un obbligo di discussione del programma da parte del Bundestag (così F. Mayer).

È però evidente che la sentenza produrrebbe effetti indiretti assai più gravi: da un lato, essa potrebbe compromettere l’efficacia di altre operazioni della BCE e suscitare reazioni negative sui mercati. Dall’altro, la decisione di una corte costituzionale nazionale che ignorasse apertamente una sentenza della Corte di giustizia, pretendendo di esercitare unilateralmente un controllo sui limiti delle competenze delle istituzioni dell’Unione, avrebbe un significato politico dirompente e potrebbe scatenare reazioni analoghe da parte di altre corti.

La decisione di rinvio consente infine di ipotizzare un’ulteriore variante dello scenario consistente nell’accertamento dell’incostituzionalità del piano OMT. Il Tribunale potrebbe infatti dichiarare che tale programma, oltre a costituire un atto ultra vires, lede l’identità costituzionale della Germania. L’argomento riprende una costruzione elaborata dal BVerfG a partire dalla sentenza sul trattato di Lisbona (v. il testo in lingua originale e in traduzione italiana), secondo la quale la partecipazione della Germania al processo di integrazione europea non può comportare una lesione dei principi supremi della Costituzione nazionale. Si tratta di quegli stessi principi – quali la dignità della persona (art. 1) e il principio democratico (art. 20) – che l’art. 79, par. 3, della Carta costituzionale (c.d. “clausola di eternità”) esclude da revisione costituzionale. In altri termini, il controllo sul rispetto dell’identità costituzionale ha un ambito di applicazione più limitato rispetto all’ultra vires-Kontrolle: mentre qualsiasi atto dell’Unione deve essere considerato ultra vires se eccede «manifestamente e in modo strutturalmente significativo» le competenze dell’istituzione o dell’organo che l’ha adottato, il limite dell’identità costituzionale della Germania entra in gioco soltanto a tutela di un ristretto nucleo di principi fondamentali.

Nel caso in esame il ragionamento del Bundesverfassungsgericht, che invero non pare molto convincente, è il seguente: poiché il potere di bilancio del parlamento tedesco è espressione fondamentale del principio democratico, che a sua volta è parte dell’identità costituzionale della Germania, quest’ultima sarebbe compromessa da operazioni della BCE che comportassero una surrettizia mutualizzazione del debito, incidendo negativamente sul bilancio federale.

Qualora il Tribunale ritenesse che il programma OMT confligge con l’identità costituzionale tedesca, alle possibili conseguenze finora esaminate si aggiungerebbe un ostacolo permanente a ulteriori cessioni di sovranità. Gli elementi che rientrano nel “nocciolo duro” dell’identità costituzionale non potrebbero difatti mai essere compromessi da un trasferimento di competenze all’Unione, neppure mediante una revisione dei trattati o mediante revisione costituzionale.

È chiaro che le conseguenze di una dichiarazione di incostituzionalità sarebbero in ogni caso indesiderabili e pregiudizievoli per il futuro del processo di integrazione. Come affermato dall’Avvocato generale, «sarebbe un compito pressoché impossibile preservare questa Unione, quale la conosciamo oggi, se si pretendesse di assoggettarla ad una riserva assoluta, a mala pena specificata e in pratica lasciata alla discrezionalità di ciascuno Stato membro» (punto 59 delle conclusioni).

Vi è quindi da sperare che il Tribunale costituzionale federale tenga fede alla dichiarazione di Europarechtsfreundlichkeit e non prosegua sulla via dello scontro diretto con la Corte di giustizia, efficacemente descritto in dottrina con la metafora cinematografica del chicken game (F. Mayer): un gioco molto pericoloso che può facilmente condurre al disastro, anche se ciò non è necessariamente nelle intenzioni di chi vi prende parte.

L’intera vicenda conferma infine – come se ve ne fosse bisogno – che nei rapporti tra corti supreme nazionali e Corte di giustizia la questione di chi abbia l’ultima parola è semplicemente mal posta e assomiglia sempre meno a un criterio sensato per la risoluzione dei conflitti giurisdizionali e sempre più a un equivalente giuridico delle scale di Escher, bizzarra costruzione nella quale, per effetto della combinazione di diverse prospettive, è impossibile individuare quale sia il piano superiore.


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