Damnatio memoriae e diritto all’oblio: i primi risvolti della sentenza Google Spain nei provvedimenti del Garante italiano per la protezione dei dati personali

La sentenza resa dalla Corte di giustizia il 13 maggio 2014 nel caso Google Spain (C-131/12) ha contribuito a definire i contorni di un nuovo diritto alla privacy digitale.

A seguito di tale pronuncia, infatti, un soggetto che si ritenga leso da informazioni riguardanti la sua persona e riportate all’interno di pagine web, reperibili usando il suo nominativo come parola chiave, ha diritto di ottenere da parte del gestore del motore di ricerca la deindicizzazione dei risultati scaturenti dalle ricerche associate al suo nominativo (per conseguenza, l’informazione risulta reperibile solo usando altre chiavi di ricerca). Si tratta di una applicazione concreta del principio di “autodeterminazione informativa”, la cui declinazione più originale è proprio quella del diritto all’oblio, che protegge il singolo nelle ipotesi in cui la permanenza in internet di informazioni «inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento»(pt. 94 sentenza)leda il diritto di quest’ultimo “di alleggerirsi” del proprio passato.

La portata innovativa di questa sentenza emerge non solo dalla moltitudine di osservazioni critiche che hanno indagato la consistenza del diritto all’oblio, ma altresì dai risvolti pratici cui la pronuncia ha dato luogo negli ordinamenti nazionali.

Questi risvolti risultano evidenti, in primo luogo, considerando che il giudice dell’Unione, anziché garantire una riserva di giurisdizione, ha lasciato al gestore del motore di ricerca la valutazione sui singoli casi e l’operazione di bilanciamento fra i diritti in gioco: privacy e libertà di informazione e di espressione.

Ma le ripercussioni sul piano nazionale emergono anche considerando i riflessi della sentenza sui meccanismi di controllo preposti, negli Stati membri, dalle autorità garanti per la protezione dei dati. Queste ultime si sono viste fortemente coinvolte nell’attività di tutela del diritto all’oblio, essendo stato previsto dalla Corte di giustizia che, a fronte del diniego di deindicizzazione opposto dal gestore del motore di ricerca, il richiedente possa rivolgersi all’autorità di controllo (oppure all’autorità giudiziaria) per ottenere la soppressione dei link verso le pagine web ritenute lesive del proprio diritto all’oblio.

Questo coinvolgimento ha indotto le autorità di controllo degli Stati membri ad adottare il 26 novembre 2014 le Guidelines on The implementation of The Court of Giustice of The european  Union Judgement on Google Spain and Inc./ Agencia espagnola de proteccion de datos  (AEPD) and Mario Costeja Gonzales, C-131/12, al fine di elaborare orientamenti comuni per la gestione dei reclami afferenti al diritto all’oblio.

Per quanto riguarda in particolare l’Italia, dalla seconda metà del 2014 sino ad oggi sono pervenute alcune decine di segnalazioni al Garante da parte di soggetti che si sono visti opporre da Google il rifiuto di provvedere alla rimozione di link a pagine web.

Nella maggior parte dei casi, il Garante ha dato ragione a Google, non accogliendo le richieste di deindicizzazione.

Da quanto è possibile ricostruire in base al testo dei provvedimenti, si evince che in più ipotesi (doc. web nn. 3623819, 3623851, 3623919) le richieste di deindicizzazione si fondavano sul carattere asseritamente falso e/o denigratorio dei fatti riportati sulle pagine web. In tali casi, il Garante rileva la possibilità per l’interessato di ottenere l’aggiornamento, la rettificazione e l’integrazione dei dati da parte dell’editore. Si tratta, dunque, di richieste non rientranti direttamente nell’alveo della tutela offerta dal diritto all’oblio. Ad ogni modo, il Garante non manca di sottolineare il carattere recente e di pubblico interesse delle notizie, che giustificherebbe comunque il rifiuto della richiesta di deindicizzazione.

Queste ultime considerazioni sono alla base di altri tre provvedimenti negativi del Garante. In queste ipotesi, infatti, è stata ravvisata la sussistenza del presupposto di interesse pubblico della notizia nel fatto che la vicenda processuale narrata era ancora in corso al momento in cui il Garante assumeva il proprio provvedimento (doc. web n. 3623954) e che la notizia di cronaca narrata aveva carattere di chiara attualità, in quanto descriveva fatti risalenti al 2013 (doc. web nn. 3623897, 3624003).

Tra i casi di rifiuto, uno appare interessante per i profili di stretta attinenza del contesto fattuale con ilcaso Google Spain. In quest’ultimo – lo si ricorda – il sig. Costeja Gonzales chiedeva la cancellazione di link verso le pagine degli archivi on line di un quotidiano in cui erano contenuti annunci, risalenti a 16 anni prima, che menzionavano il suo nome e si riferivano ad un’asta immobiliare legata ad un pignoramento per la riscossione coattiva di crediti previdenziali. Anche nel caso portato di fronte al Garante nazionale (doc. web n. 3624021), il richiedente intendeva ottenere la deindicizzazione di un’url contenente articoli di stampa relativi ad un fatto di cronaca sfociato in un procedimento giudiziario che lo coinvolgeva. L’istante rilevava che le vicende erano “passate, concluse e ormai obsolete”, in quanto risalenti ad episodi definiti nel 2007. In tal caso, il Garante ha respinto la richiesta «tenuto conto del fatto che le notizie pubblicate risultano essere di pubblico interesse, in quanto riguardano un noto caso giudiziario di rilevanza nazionale tutt’ora oggetto di attenzione da parte dei media».

In due ulteriori casi, invece, il Garante italiano ha accolto la richiesta degli interessati, avendo riguardo alla natura ed al carattere dell’informazione.

Nel primo (doc. web n. 3623877), il Garante ha ritenuto che il contenuto della notizia fosse eccedente rispetto alle finalità del trattamento (poiché la notizia riportava numerosi riferimenti anche a persone estranee alla vicenda).

Nel secondo caso (doc. web n. 3623978), la richiesta dell’istante ha trovato accoglimento in quanto l’informazione diffusa aveva ad oggetto dati personali relativi ad abitudini sessuali di una persona identificata e, dunque, era idonea a ledere la sfera privata di quest’ultima. La notizia aveva infatti ad oggetto una vicenda di cronaca risalente agli anni 2006-2007, in cui l’istante veniva imputato di reati relativi a rapporti sessuali con minori, rispetto ai quali egli dimostrava di essere stato assolto nel 2009.

Il Garante nazionale sembra dunque tenere in debito conto la ricerca di un equilibrio fra la protezione della vita privata ed il diritto all’informazione, mostrando di effettuare un bilanciamento che appare più equilibrato rispetto a quello operato dalla Corte di giustizia.

Alla luce della sentenza Google Spain, infatti, non pare potersi affermare che tutti i diritti fondamentali siano egualmente fondamentali: sembra, anzi, che la protezione della riservatezza sia oggetto di un controllo ben più stringente rispetto alla protezione della libertà di espressione e di informazione, per quanto tali diritti siano tutti costituzionalizzati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Nella pronuncia della Corte di giustizia, la protezione della privacy assurge a rango prioritario e l’innalzamento del suo livello di tutela va a detrimento dell’interesse pubblico (oltre che della libertà di iniziativa economica privata). Il giudice dell’Unione afferma, infatti, in più punti della sentenza che i diritti fondamentali di cui agli articoli 7 e 8 della Carta «prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione».

Questa posizione è stata recepita anche nelle Guidelines dei Garanti nazionali, ove si afferma che, nell’operazione di bilanciamento, deve prevalere in linea generale la tutela della privacy e solo eccezionalmente può darsi spazio alla tutela del pubblico interesse al mantenimento di una determinata notizia («in relation to the balance of interests that may legitimate the processing carried out by the search engine, according to the ruling, the rights of the data subject prevail, as a general rule, over the economic interest of the search engine, in light of the of the potential seriousness of the impact of this processing on the fundamental rights to privacy and data protection. These rights also generally prevail over the rights of internet users to have access to the personal information through the search engine in a search on the basis of the data subject’s name» -par. 81).

Il Garante nostrano mostra, ad ogni modo, di prestare una maggiore attenzione alla ricerca del giusto equilibrio tra i diritti, dando importanza a criteri che la stessa sentenza Google Spain indicava (ma che hanno avuto in quel caso scarso rilievo), ovverosia la natura dell’informazione, il carattere sensibile della stessa in rapporto alla vita privata della persona coinvolta, l’interesse del pubblico a disporre dell’informazione, il ruolo che la persona interessata riveste nella vita pubblica. Si pensi, su tutti, al provvedimento del Garante con cui viene rifiutata la deindicizzazione in ragione della rilevanza nazionale del caso giudiziario narrato, per quanto la vicenda fosse ormai risalente nel tempo: tale decisione sembra emblematica della particolare attenzione all’applicazione del principio di proporzionalità nella comparazione tra diritti tutti costituzionalmente garantiti.

Bisognerà attendere ancora del tempo per verificare gli ulteriori sviluppi sul piano nazionale dell’atteggiamento protezionistico assunto dalla Corte di giustizia nei riguardi del diritto alla riservatezza. Per il momento, sul piano nazionale sembra che il controllo che il singolo, tramite l’esercizio del diritto all’oblio, può esercitare a tutela della proiezione sociale della propria identità personale non comporti una compressione sproporzionata della libertà di espressione e di informazione.


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